martedì 6 luglio 2010

Maroni tace sugli eritrei e apre un nuovo fronte: l'aeroporto di Malpensa

di U. De Giovannangeli

<< Aiutateci, siamo innocenti, non lasciateci morire...>>. Il grido di aiuto dei deportati eritrei nel lager libico, non scalfisce la corazza dell’insensibilità del ministro Roberto Maroni. Per il titolare del Viminale, la pratica è chiusa. Neanche una parola, nemmeno mezza. Dopo aver risolto l’emergenza sbarchi a Lampedusa, «ora l’aeroporto di Malpensa è la frontiera più avanzata per l'ingresso di immigrati clandestini, perchè da un anno Lampedusa è uscita dai traffici di clandestini dalla Libia», sentenzia il ministro.

Secondo Maroni, «i controlli sulle coste libiche hanno chiuso le rotte e nei primi mesi di quest'anno non è arrivato praticamente più nessuno a Lampedusa». Per questo ora l'attenzione delle autorità italiane si sta spostando sugli ingressi via aria, studiati partendo proprio da Malpensa, perché, spiega, «la frontiera aerea è la più insidiosa...». « Cosa intende fare ora il ministro dell'Interno?Chiedere aiuto di nuovo alla Libia di Gheddafi per respingere gli irregolari anche in Lombardia?», commenta Sandro Gozi,capogruppo del Pd nella commissione Politiche della Ue di Montecitorio.

Nessuna pietà
Nessun ripensamento. Il «modello-Libia» va per il meglio e andrebbe esportato. Per mare e nei cieli...Esulta Maroni, è silente Frattini. Ai due ministri consigliamo di prestare attenzione a questa testimonianza: «Ci torturano a tutte le ore, ci insultano e ci picchiano. Prima eravamo in un centro di detenzione, a Misurata. Alcuni di noi erano stati arrestati perché già abitavano in Libia, altri sono stati presi nelle città, altri ancora sono stati respinti dall'Italia lo scorso anno. Anche se avevano il diritto di essere accolti come rifugiati sono stati respinti». Così a CNRmedia uno dei 250 rifugiati eritrei detenuti in condizioni definite «disumane» nel deserto della Libia, senza acqua, cibo nè cure mediche. «Nessuno è morto nel trasporto, ma in molti hanno gravi problemi di salute. Ci sono persone che hanno braccia, gambe, teste rotte - prosegue il rifugiato - Ci sono anche 18 donne bambini. Le torture sono state molto pesanti. Tre persone, appena arrivate qui, hanno bevuto detersivo e sono state portate in ospedale: si è trattato di tentativi di suicidio». «Nessuno può venirci a vedere, nessuno viene a proteggerci, attorno a noi ci sono solo l'Ambasciata eritrea che ci vuole rimpatriare e le autorità libiche. Il problema è ottenere dei visti - aggiunge - abbiamo bisogno di essere riconosciuti come rifugiati, abbiamo bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale proprio qui e ora. Perché stiamo morendo nel deserto».

Il Consiglio Italiano per i rifugiati (Cir) ha lanciato un nuovo accorato appello per i rifugiati eritrei detenuti in condizioni disumane nei centri di detenzione libici. «Dal centro di detenzione di Brak arrivano allarmanti notizie sul rischio di vita a cui sono esposti i 245 rifugiati eritrei che, dopo i maltrattamenti subiti negli ultimi giorni, chiedono l’intervento internazionale per salvarsi», si legge in un comunicato del Cir. « Sulla stessa lunghezza d’onda è Amnesty International.

Le condizioni del centro di detenzione di Sebah sono drammatiche - denuncia Amnesty in un comunicato - : oltre al sovraffollamento, l’acqua e il cibo sono insufficienti e i servizi igienici inadeguati. Amnesty ha sollecitato il governo libico a non rinviare forzatamente in Eritrea gli oltre 200 cittadini eritrei, rispettando in questo modo il principio internazionale del «non respingimento» verso Paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di subire tortura o altre forme di maltrattamento o dove «la sua vita, l'integrità fisica e la libertà personale potrebbero essere minacciate» . Se rinviate in Eritrea - incalza Amnesty - queste persone «rischiano di subire la tortura, punizione riservata ai colpevoli di “tradimento” e diserzione».

da L'Unita'.

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